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Una piacevole dipendenza dal caffè: quando viene consumato ogni giorno
 
Tanti sono gli studi e le ricerche sul consumo del caffè in Italia e in generale sembra che ogni italiano consumi più di una tazzina di espresso al giorno. Nielsen ha evidenziato come in Italia non si possa proprio fare a meno del caffè, evidenziando come ogni italiano beva ogni giorno 1,5 tazzine di caffè espresso e come l’80% degli italiani non sappia rinunciare a questo piacere.
Una percentuale davvero alta, che porta il consumo di caffè a 6 kg a testa all’anno. Vediamo allora qualche dato su questa piacevole dipendenza e i benefici del caffè per le persone.
 
I dati sul consumo del caffè in Italia e nel mondo
Potrà sembrare strano, ma dopo l’acqua è il caffè la bevanda più consumata ogni giorno al mondo e oltre ad alimento il caffè, al pari del petrolio, è trattato sui mercati finanziari di tutto il mondo.
In generale, ogni giorno si consumano 2,6 miliardi di tazze di caffè e solamente l’Italia importa ben 300 tonnellate all’anno di questo prezioso prodotto.

Alcune recenti statistiche dimostrano come la famiglia italiana consumi annualmente circa 37 kg di caffè, anche se non è l’Italia il Paese del mondo dove si consuma più caffè.
Secondo alcuni dati statistici il Bel Paese è dietro al Nord Europa, anche se qui il caffè è molto diverso dall’espresso italiano.

Tornando al nostro Paese, ogni giorno si consumano 9,3 milioni di caffè e la metà degli italiani beve regolarmente almeno una tazzina di caffè al giorno per un giro d’affari di 20 miliardi di euro. Il caffè dei brand italiani è importato anche in Francia, Germania, USA, Austria e Russia.
La classifica dei Paesi in cui si consuma più caffè è guidata dalla Finlandia, a cui seguono Danimarca e Olanda. Analizzando il consumo di caffè a livello mondiale il primo posto spetta agli USA con 400 milioni di tazzine di caffè consumate ogni giorno, anche se qui il caffè viene sorseggiato come una tisana durante tutta la giornata ed è ben diverso dalla tazzina di espresso consumata al bar.

Guardando al dato globale, nel mondo, ogni anno, una persona consuma in media circa 4,5 kg di caffè, con differenze molto accentuate: si passa dai quasi 12 kg appannaggio dei finlandesi, ai 2,5 del Portogallo. In Italia, il consumo pro-capite si attesta vicino ai 6 kg annui. Negli USA i cittadini americani superano di poco i 4 kg. Ma in Europa, consumi a go go tra norvegesi (10 kg), islandesi 9 kg), danesi 8,5 kg) e svedesi (8 kg).
Interessante il dato del Brasile. Il Paese sudamericano, oltre ad essere il maggior produttore mondiale di caffè, registra consumi annui  ragguardevoli, con 5.8 kg pro-capite. Nel fanalino di coda di questa classifica a base di caffeina, troviamo Marocco, Malesia, Uruguay, Suriname (0,9 kg), e infine Portorico e Cile (0,4 kg).

In Italia, traducendo i consumi in euro, si stima che gli amanti del caffè espresso sostengano una spesa annua che si attesta intorno ai 250 euro pro-capite. Ne beviamo moltissimi negli oltre 149.000 esercizi commerciali che lo somministrano (bar, ristoranti, ..), ma indubbiamente in casa i consumi sono aumentati notevolmente da quando, oltre 15 anni fa, si aprì l’avvento delle tanto amate macchinette. Oggi si contano centinaia di migliaia di macchine ad uso domestico, con particolare concentrazione nelle tipologie Nespresso*, Dolce Gusto*, Lavazza A Modo Mio* e Caffitaly*.

Caffè a colazione: un rito a cui nessuno sa rinunciare
Rientrando in Italia è bene sapere che 1 italiano su 2 beve il caffè a colazione, per 4 persone su 10 il caffè rappresenta un momento di pausa e per 2 persone su 10 segna la fine del pranzo. La metà degli italiani ama bere il caffè anche dopo cena.
Appare quindi evidente come a tutte le persone, in particolare agli italiani, piaccia bere il caffè accompagnato da un cornetto caldo a colazione. Si tratta di una buona abitudine, dato che consumare caffè a colazione – da solo o con le classiche brioche e fette biscottate – fa bene per due motivi, secondo quanto scoperto dagli esperti, Innanzitutto, il caffè è una bevanda naturale che non ha coloranti e conservanti e rappresenta il modo migliore per iniziare la giornata con la giusta energia. Inoltre, bere caffè aiuta e proteggere il fegato grazie alle sostanze contenute nei chicchi, a patto di scegliere un caffè di qualità e berlo sempre senza zucchero.
 
Caffeina: perché crea una vera e propria dipendenza
Molti studi e ricerche dimostrano come si possa creare una dipendenza dalla caffeina e anche l’Associazione tedesca dei nutrizionisti conferma la possibilità di una dipendenza da questa sostanza. Non a caso, molte persone dichiarano di soffrire di mal di testa se non bevono una minima quantità di caffè al giorno, anche se si tratta di un leggero malessere e non di una vera e propria dipendenza.
 
In conclusione bere caffè crea una piacevole dipendenza e nella maggior parte dei casi è un piacere a cui non si sa rinunciare. Per ottenere il massimo dalla tazzina di caffè i medici consigliano di scegliere sempre un caffè di ottima qualità e consumarlo moderatamente. Tuttavia, anche se siete grandi bevitori di caffè, non preoccupatevi, non rischiate di sviluppare nessuna patologia.
 
Come, dove e quando
La survey, condotta su un campione di oltre 1.000 consumatori, fornisce numerose suggestioni sulle modalità di scelta e di consumo caffè. In primis, emerge un consumo abituale della bevanda (95% del target di riferimento), con l’espresso scelto dal 93% dei consumatori. Residuale la percentuale di chi predilige il caffè americano, orzo o altre tipologie di caffè (7%).
 
Chi consuma caffè espresso beve principalmente 1 o 2 tazzine al giorno (58%) e preferisce la mattina come momento di consumo. Le motivazioni del successo dell’espresso? E’ presto detto: il 58% di chi lo beve lo fa per trovare la ‘carica’ necessaria ad affrontare la giornata. C’è poi chi lo fa per il gusto (51%) e chi per abitudine (30%). Inoltre, la tazzina evoca nell’immaginario dei consumatori momenti di relax (53%), un piacere (47%), ma al contempo una tradizione (37%).
I consumi evidenziano anche un tipo di fruizione ‘multi-luogo’: Il 92% di chi beve caffè espresso lo fa tra le mura domestiche, prediligendo il caffè in polvere (53%) e in cialde o capsule (37%); ma tra i luoghi più gettonati figurano anche i bar (il 72% del target di riferimento), oltre al posto di lavoro (il 48%), dove invece si preferisce l’utilizzo di caffè in cialde o capsule (50%).
CONSUMO AQUA IN ITALIA
 
Acqua in bottiglia, Italia prima al mondo per consumo. Ma la rete idrica è un colabrodo
 
di Valentina Iorio16 marzo 2021
 
1/9
 
L’ossessione per l’acqua in bottiglia
 
Gli italiani sono i più grandi consumatori al mondo di acqua minerale in bottiglia, con 200 litri pro capiteconsumati all’anno contro una media europea di 118 litri. L’Italia è anche il 2° Paese dell’Unione europea per consumo di acqua potabile con 153 metri cubi annui pro capite, due volte di più della media europea. Ci supera solo la Grecia con 179 metri cubi annui pro capite.
 
 
Malgrado gli italiani continuino a preferire l’acqua della bottiglia, la qualità dell’acqua nella rete idrica nazionale è molto elevata. Con l’84,8% dell’acqua prelevata proveniente da fonti sotterranee, naturalmente protette, il nostro Paese è il 7° in Europa per qualità dell’acqua potabile. È questo lo scenario fotografato dal libro bianco «Valore acqua 2021» realizzato daThe European House – Ambrosetti, che verrà presentato il 22 marzoin occasione della Giornata mondiale dell’acqua.
 
Il consumo di acqua in bottiglia in Italia e nel mondo
 
Nonostante le oramai ben note controindicazioni ambientali dovute alla produzione, allo smaltimento delle bottiglie di plastica e al trasporto dell’acqua confezionata, e sebbene la stragrande maggioranza delle acque in bottiglia sia, per qualità e caratteristiche di composizione, praticamente indistinguibile dalla maggior parte delle persone da quella del rubinetto, il mercato dell’acqua minerale è in continua crescita.
 
Indice dei contenuti [Nascondi]
 
     
  • 1 Il consumo di acqua in bottiglia in Italia e nel mondo
  •  
  • 2 Le strategie di comunicazione dell’acqua in bottiglia
  •  
  • 3 Luoghi comuni e falsi miti sull’acqua in bottiglia
  •  
  • 4 Ti potrebbe interessare anche...
 
Il consumo di acqua in bottiglia in Italia e nel mondo
 
Dagli anni ’80, quando la plastica ha progressivamente sostituito il vetro come materiale usato per le bottiglie, la produttività degli stabilimenti è aumentata senza sosta e con essa la vendita; un fenomeno confermato a livello mondiale e particolarmente accentuato in Italia, il nostro Paese risulta infatti essere oggi il maggior consumatore europeo di acqua in bottiglia e terzo al mondo dopo Emirati Arabi e Messico. Un mercato, quello italiano, che ha visto nel 2015 il confezionamento di oltre 13,5 miliardi di litri di acqua (dei quali oltre 1 miliardo di litri destinato al mercato estero), distribuiti su 250 differenti marchi per un consumo pro capite/anno di oltre 200 litri. Il panorama internazionale mostra inoltre che, già dal 2011, le acque confezionate hanno sorpassato nei consumi tutte le altre tipologie di bevande (bibite lisce e gassate, succhi di frutta, ecc), con un volume annuo superiore ai 245 miliardi di litri.
 
Fonte: Beverage Marketing Corporation 2016
 
Le strategie di comunicazione dell’acqua in bottiglia
 
Un fenomeno che stupisce con cifre impressionanti e spinge a chiedersi: cos’è che lo rende possibile? Strategie di comunicazione in continua evoluzione, che consentono al mercato di generare necessità e di adeguarsi alle aspettative dei consumatori, con un prodotto che all’apparenza si rinnova e si migliora ma nella sostanza è sempre lo stesso.
 
Un marketing strategico che opera a lungo temine sull’analisi dei bisogni degli individui e un marketing operativo più concentrato sui tempi brevi. Partiamo dall’analisi dell’etichetta, la carta d’identità di un’acqua in bottiglia, dove le informazioni e la grafica odierne sono molto diverse rispetto a quelle utilizzate qualche decennio fa, infatti:
 
• alcune indicazioni riportate in passato che vantavano la presenza di specifici elementi e le relative proprietà salutari (es. la radioattività) sono scomparse, oggi certe informazioni avrebbero l’effetto contrario…
 
• la presenza di elementi indesiderabili (es. arsenico, nitrati) viene generalmente omessa, la legge d’altra parte lo consente stabilendo che in etichetta le informazioni possono essere ridotte a: elementi caratterizzanti, conducibilità, residuo fisso, pH e anidride carbonica alla sorgente;
 
un progressivo impoverimento delle informazioni in etichetta ha lasciato spazio a grafiche e slogan d’effetto, e in alcuni casi ad informazioni del tutto inutili e fuorvianti come le indicazioni dell’assenza del contenuto di grassi, calorie, proteine e zuccheri presenti, pratica utilizzata soprattutto da alcuni marchi destinati al mercato estero;
 
• un uso accorto delle unità di misura per far apparire la concentrazione di un elemento più bassa di quello che in realtà è, per esempio alcuni produttori utilizzano per alcuni parametri i “g/L” anziché i “mg/L”, con il risultato di avere un numero molto più piccolo, magari con tanti ZERI dopo la virgola, che fa molto effetto. Questo espediente viene utilizzato da alcune acque oligominerali per parametri quali il sodio ed il residuo fisso allo scopo di evidenziarne in etichetta l’esigua concentrazione (si ricorda che leggerezza e iposodicità sono caratteristiche di un’acqua, che non determinano necessariamente la superiorità qualitativa rispetto ad un’altra…);
 
in molte etichette viene evidenziata una sorta di immagine ecologica della bottiglia di plastica (che ricordiamo impiega in media 10 secoli per decomporsi) ad esempio indicando PET 100% riciclabile, tralasciando il grave problema dell’impatto ambientale legato alla produzione, movimentazione e smaltimento della plastica, oltre ovviamente a quello dovuto alla frazione delle bottiglie che non viene riciclata perché non differenziata (che in Italia sfiora il 75%). Inoltre il fatto che la grammatura delle bottiglie e dei tappi sia stata ridotta per molti marchi è una scelta fatta secondo i produttori a favore dell’ambiente, in realtà oltre a conferire un’immagine più green all’azienda non è difficile calcolare il risparmio economico derivante da questa operazione dato che, su oltre 13 miliardi di litri imbottigliati, anche una minima riduzione del PET utilizzato in produzione risulta rilevante nell’acquisto della materia prima. Di fatto, l’espansione del mercato delle acque in bottiglia ha comportato un decadimento della qualità ambientale.
 
Un recente video del WWF (APRILE 2018) evidenzia i danni irreparabili causati dall’inquinamento in alcuni dei luoghi più belli al mondo attraverso l’accostamento di due immagini con identiche inquadrature, ma in tempi diversi: una prima e una dopo gli effetti dell’inquinamento.
 
 
Luoghi comuni e falsi miti sull’acqua in bottiglia
 
Per quanto concerne la vendita molti luoghi comuni condizionano le scelte dei consumatori, assieme a falsi miti incentivati da spot pubblicitari martellanti.
 
Molte acque minerali vengono presentate alla stregua dei prodotti per la salute e la bellezza del corpo, con immagini e slogan emozionali (“Puliti dentro, belli fuori” L’acqua che elimina l’acqua”, “L’acqua che ti aiuta a sentirti giovane”, “Le acque della salute” etc) che fanno particolare presa su quella parte di pubblico che pone molta attenzione alla forma fisica, alla linea, suggerendo l’idea che solo attraverso il consumo di quell’acqua si possano ottenere salute e benessere;
 
per andare incontro a tutte le possibili esigenze dei consumatori vengono prodotte bottigliette di qualsiasi formato e dimensione, le più impattanti in termini ambientali, a causa del rapporto sfavorevole tra quantità di plastica usata e acqua contenuta nella bottiglia (il rapporto superficie/volume aumenta al decrescere delle dimensioni del contenitore), sono le “baby bottle” (25 cl) che stanno anche in borsetta, e quelle con il tappo “apri/chiudi” tipo borraccia, con la differenza che la borraccia si riempie nuovamente mentre la bottiglietta vuota si butta via, spesso causando danni dell’ambiente, se non correttamente riciclata;
 
la provenienza di un’acqua minerale deve essere protetta, sotterranea, ma non necessariamente di alta montagna o da sorgenti naturali o ghiacciai, come invece la stragrande maggioranza delle persone è portata a credere; molte acque minerali vengono pompate dal sottosuolo da falde più o meno profonde. Inoltre molte acque vengono imbottigliate in territori che nulla centrano con quelli che la denominazione commerciale suggerirebbe, è il caso del marchio “Artic Spring” che viene imbottigliato in Florida, oppure dell’acqua “Glacier Mountain Natural Spring Water” imbottigliata in New Jersey e, per rimanere a casa nostra, dell’acqua “Iceberg” prodotta nello stabilimento di Pesaro Urbino;
 
• in molti paesi del mondo l’acqua confezionata non è minerale naturale, al di fuori della comunità europea la maggior parte dell’acqua che viene commercializzata è “purified water”, ovvero acqua che viene filtrata, trattata e messa in bottiglia. A livello mondiale circa il 45% di tutta l’acqua che viene imbottigliata è del tipo purificata, un mercato enorme guidato dagli stessi produttori di bibite: Coca Cola con il marchio Dasani, Pepsi Cola con il marchio Aquafina e Nestlé con il marchio Pure Life;
 
• le acque di rete sono potabili ed economiche (1 litro di acqua di rubinetto costa in media 0,0015 centesimi), in molti casi migliorabili negli aspetti organolettici di sapore e odore, ma sicure e bevibili da chiunque senza il rischio di incorrere in problemi di natura sanitaria, eppure sono ancora in molti a non fidarsi dell’acqua del rubinetto (le statistiche Istat 2015 evidenziano che circa il 30% degli italiani hanno una cattiva opinione dell’acqua dell’acquedotto e non si fidano di berla), un timore in larga parte immotivato, che contribuisce ad alimentare il mercato dell’acqua confezionata e ad impoverire i portafogli di chi la acquista;
 
le acque minerali hanno diversi prezzi, in genere più il marchio è noto e più è caro, poi c’è un altro mercato di bottiglie in cui le regole commerciali sono diverse, dove i prezzi sono incredibilmente più alti (centinaia di euro) soltanto perché le bottiglie sono firmate da uno stilista o per gli Swarovski che le impreziosiscono, oppure perché l’acqua è quella bevuta da un personaggio famoso. Il mercato delle acque onerose viene anche alimentato dagli “idrosomellier”, una figura presente nei ristoranti con “La Carta delle Acque” per proporre il miglior abbinamento acqua-cibo, alla stregua di quanto viene fatto per il vino. Un gioco che costa caro soprattutto all’ambiente.
 
• Le pubblicità ingannevoli, come alcune di quelle comparative, che mirano ad esaltare il proprio prodotto mettendolo a confronto con altri opportunamente selezionati; questa tecnica di vendita molto aggressiva è stata utilizzata in passato da alcuni marchi, a discapito di altri, al limite della legalità;
 
Il mercato delle acque in bottiglia muove interessi economici enormi, per questo motivo non è semplice contrastarlo. Una strategia vincente a lungo termine, almeno nei paesi industrializzati dove l’acqua erogata dalle reti pubbliche è potabile, dovrebbe basarsi su un duplice approccio: accrescere la coscienza ambientale dei cittadini promuovendo il consumo dell’acqua del rubinetto ed incentivare, dove necessario, la diffusione degli impianti di trattamento al punto d’uso, che consentono di bere acqua sicura e buona dal rubinetto senza plastica.
 
 
Acqua in bottiglia di plastica: in Italia consumi raddoppiati in 10 anni L’attenzione all’ambiente non frena gli acquisti degli italiani secondo i dati Ismea del 2019
 
 
Il peso delle bottiglie di plastica sull’emergenza climatica Mentre le temperature aumentano, le calotte polari si sciolgono e in tutto il mondo nascono movimenti globali anti-plastica, sono ancora tanti i consumatori che non riescono a rinunciare alla comodità “usa-e-getta” delle bottiglie di plastica. Si tratta di una questione che tocca molto da vicino il nostro Paese, campione mondiale di consumo di acque minerali in bottiglia, di cui la maggior parte in plastica, al terzo posto dopo Messico e Thailandia. Anche se il problema dell’impatto della plastica sull’ambiente va molto al di là di quello creato dalle acque minerali, il cui peso sull’emergenza climatica è solo parziale, la spiccata preferenza dei consumatori italiani per l’acqua minerale confezionata, è un’interessante fotografia di un trend che, secondo i dati ISMEA sul 2019, rimane in crescita. Italiani e acque minerali: un amore solido nonostante la plastica Negli ultimi dieci anni, le vendite totali a volume delle acque minerale imbottigliate in plastica, si sono più che raddoppiate, passando dai circa 5 miliardi di bottiglie del 2009 ai circa 10 miliardi di bottiglie del 2019: una crescita costante, nonostante la guerra alla plastica si sia andata intensificando progressivamente. Come evidenziano i dati ISMEA relativi al 2019, gli incrementi delle vendite hanno interessato in modo particolare il Sud e la Sicilia (+ 2,7%), in un contesto di aumento generalizzato (+0,9% il dato nazionale). Da segnalare inoltre che la quota più importante dei consumi sia relativa all’acqua naturale, tipologia disponibile dai rubinetti delle nostre case, ma che invece ha rappresentato il 71% dei volumi di vendita: parliamo di circa 7 miliardi e 200 mila bottiglie acquistate nel 2019, un valore quasi triplicato nel giro di soli 3 anni. Le acque effervescenti, invece, nel 2019 sono state scelte dal 13% delle famiglie italiane, per un totale di circa un miliardo di bottiglie, contro le circa 500mila del 2016. Stessi numeri per quelle gassate che nel 2019 sono state comprate dall’11% dei consumatori, per un volume di vendita pari a circa un miliardo di bottiglie. Numeri più contenuti ma ugualmente rilevanti per le acque leggermente gassate che hanno incontrato le preferenze del 5% delle famiglie italiane (circa 500mila bottiglie, il doppio di quelle consumate nel 2016). E le bottiglie in vetro? Ferma restando la passione dei consumatori italiani per le acque minerali, viene da chiedersi se la stringente emergenza climatica e la lotta contro l’inquinamento da plastica possano avere avuto un’influenza sulla scelta di acque imbottigliate in vetro. La risposta fornita dai dati ISMEA non è confortante: le bottiglie di acqua naturale in vetro acquistate dai consumatori nel 2019 sono pari a 24 milioni circa, mentre dieci anni fa erano circa 31 milioni. Un trend negativo che è confermato anche per l’acqua effervescente e quella leggermente gassata, ma non per quella gassata che risulta in controtendenza con circa 5 milioni e mezzo le bottiglie acquistate nel 2019, contro i circa 3 milioni di bottiglie del 2009.
 
     
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Acqua minerale, in Italia il maggior consumo pro capite Ue
 
Fatturato aziende 2,9 miliardi, canoni a stato 0,79% dei costi
 
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Redazione ANSA ROMA
 
26 maggio 202117:31
 
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(ANSA) - ROMA, 26 MAG - Nel periodo tra il 2012 e il 2019 il consumo di acqua confezionata in Italia è cresciuto a un tasso medio annuo del 2,4 per cento.
 
Un incremento che ha contribuito a rafforzare i consumatori italiani come i primi della classe in Europa, forti di 222 litri pro capite di "minerale" bevuta l'anno, ovvero 13,5 miliardi di litri in totale. Questi dati emergono da una ricerca sul settore delle acque confezionate prodotta dall'Area studi di Mediobanca.
 
 
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Secondo Mineracqua il fatturato delle aziende del settore è pari 2,9 miliardi di euro, secondo Mediobanca (che considera anche le bibite) è a 3,8 miliardi. Nel 2015 oltre il 39% delle concessioni prevedeva un canone svincolato dalla quantità di acqua emunta. Il Mef quantificava nel 2016 gli introiti complessivi da canone in 19,4 milioni di euro, di cui l'86,1% legato all'acqua emunta, per un valore medio di 1,16 euro a metro cubo. Nel 2015 i canoni di concessione erano pari allo 0,79% dei costi complessivi delle società imbottigliatrici e allo 0,68% del loro fatturato.

La seconda nazione europea per consumo pro capite è la Spagna con 174,9 litri. La Germania è terza (167,7 litri), il Portogallo è quarto (140,1 litri), l'Ungheria quinta (138,8 litri). La nazione con il consumo di acqua imbottigliata pro capite più bassa è la Norvegia (9,3 litri). La Svezia è a 10 litri annui, la Finlandia a 17 e la Danimarca a 19,6 litri. Il consumo medio europeo è di 142 litri l'anno.

L'acqua italiana in Gdo ha il prezzo medio al litro meno caro tra i grandi mercati europei: 20 centesimi contro i 36 centesimi della Germania e i 30 centesimi della Francia. Solo la Spagna, con 22 centesimi al litro, si avvicina ai prezzi italiani.

L'Italia è il secondo esportatore europeo dietro la Francia, che manda nel mondo acqua in bottiglia per 830 milioni di euro.

In Italia oltre i due terzi dell'acqua consumata è "liscia", e l'acqua minerale è il 76% del totale di bevande analcoliche consumate. I soft drinks sono il 20% circa e i succhi di frutta non arrivano al 4%. (ANSA).
 
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